Opere

 

Da "Talento", Lorenzo Editore, n.4 / 2002

Antonio Trotta, Razza Shallah, romanzo, II edizione riveduta, stampata e distribuita a cura dell'Autore, anno 2002, pp. 206, € 12,92

Argomento dell'opera è la decadenza etica delle persone a causa del cosiddetto progresso, nell'abbandono della terra e nel loro ridursi a nevrotiche particelle anonime della consumistica società tecnico-industriale.
Il Trotta narra le vicende e si concentra, con validi risultati, sulla psicologia dei membri d'una famiglia del Sud, immaginari ma corrispondenti a persone che direttamente conobbe tra quelle che negli anni '50 dello scorso secolo emigrarono nel settentrione d'Italia, in cerca di benessere.
Diego, il capofamiglia, reduce di guerra, è presentato come uomo di spenta mente, semi-ignorante come, di norma, i villici di quei tempi, soggetto ai forti e prepotente coi deboli, in particolare verso i suoi stessi bambini che tratta alla stregua di cose di proprietà, non solo sfogando senza causa su di loro la propria violenza fisica, ma fino al punto di lasciarli con la madre, in certi giorni di maggiore miseria, del tutto digiuni per riempirsi il ventre con ogni alimento della dispensa. Annota lo scrittore che le inclinazioni dell'uomo "erano simili a quelle di molti altri suoi coetanei, infatti, queste erano conseguenze del dopoguerra": non tanto la miseria dell'ambiente contadino arcaico, ma la società proto-industriale che aveva scatenato i conflitti mondiali aveva causato una prima corruzione di quelle menti. Ora, nel suo progresso, l'industria si preparava a dannarle del tutto. Primo male, la divisione tra i componenti delle famiglie. Normalmente, i padri emigravano soli; il gruppo si riuniva più tardi, quando c'erano finalmente un salario e un'abitazione; questa ancor più difficile a trovarsi del lavoro: si potevano leggere in quegli anni cartelli "Affittasi" con la postilla: "Non si affitta ai meridionali"; si sentiva dire: "Arrivano in due, e poi te ne trovi dodici, ti spaccano tutto e ti piantano l'insalata nella vasca da bagno": tempi di razzismo tra italiani, ancor vivo oggi presso alcuni, ma ormai da tempo indirizzatosi, piuttosto, e pure da parte di eredi di quei meridionali, contro gl'immigrati da Paesi terzi, giunti in Italia con le stesse, povere illusioni. Secondo male, l'abbandono di luoghi naturali. Diego, che pure aveva trovato presso la città di destinazione una sistemazione in una bella casetta in affitto, dotata di servizi e tra il verde, è indotto a trasferirsi, per risparmiare, non per avvicinarsi al luogo di lavoro, in un orrido antro abusivo senza finestre costruito contro il muro perimetrale d'una caserma abbandonata, all'altro estremo della città, a lato di numerosi tuguri ospitanti altri immigrati: chiaro simbolo della spersonalizzazione che sta investendo la famiglia. Il risparmio e l'accensione di debiti servono non già a migliorare l'avvenire dei figli, sempre più trattati come oggetti, uno addirittura abbandonato provvisoriamente in un orfanotrofio, ma a soddisfare le esigenze di divertimento del padre e a recarsi in vacanza al paese, egli e la moglie, in pompa, mostrando un'inesistente ricchezza per destare invidia. Il desiderio di apparire è presente in ogni azione. Così, quando tutti gli amici della baraccopoli hanno ormai trovato abitazioni migliori, anche Diego si decide ad affittare un appartamento decoroso: niente affatto per la famiglia, solo per la gente.
In assoluto contrasto con la figura del padre è quella di Vitaliano, il figlio che, fin da piccolo desideroso di libertà e di giustizia, è soggetto a percosse tremende, anche per mancanze minime, quando non inesistenti, da parte del genitore, nonché all'indifferenza della madre, che preferisce di molto i figli che le stanno sottomessi. Il bimbo è lasciato del tutto analfabeta, Diego se lo porta assieme fin dall'età delle prime scuole perché l'aiuti nel lavoro, alleviandogli la fatica; ma il bambino è attratto dalla conoscenza e, adolescente, inizia a studiare in una scuola serale, riuscendo, intanto, a conseguire la licenza elementare: primissimo passo su di una strada che lo condurrà alla laurea in filosofia. Una situazione non dissimile da quella del protagonista del romanzo "Padre padrone" di Gavino Ledda, anche se sicuramente la vita e non la letteratura ha ispirato il Trotta; e del tutto diverso è l'ambiente, qui non arcaico e pastorale ma industriale. Vitaliano è la figura positiva del romanzo, in cui si può riconoscere, se non - forse - per biografia, per aspetti culturali e, intuirei, di carattere, l'autore stesso. A diciotto anni il giovane abbandona la famiglia e gira il mondo, per anni, come mozzo su mercantili. Durante il servizio militare in Marina, incontra Carlo Antonio, un giovane intellettuale di sinistra che gli fa prendere coscienza "che è possibile ottenere una qualunque cosa senza bisogno di ricorrere alla forza" (…): "oltre a lui, c'erano altre persone amanti della giustizia, dell'eguaglianza e della fratellanza"; ma è l'incontro con altri sofferenti, come una povera prostituta che desta in lui la più grande compassione, che dà al protagonista il pieno slancio ideale, portandolo a credere e a pregare Dio, di cui mai prima, a causa del cattivo esempio domestico, s'era curato. Il suo amore per gli altri è finalmente concreto, esercitato nel giorno per giorno. Fra l'altro, paga gli studi serali al fratello Modesto, che si diplomerà ragioniere, assiste con affetto un vecchio compaesano conosciuto per pochi mesi da bambino, che ha bisogno del medico e di occhiali. Anche gli altri fratelli, a poco a poco, sull'esempio di Vitaliano si rendono economicamente indipendenti dal padre-padrone e alcuni di loro, come già Modesto, si iscrivono a scuole serali, per progredire ulteriormente; ma se la famiglia, grazie al duro e, a volte, doppio lavoro dei suoi membri sale economicamente, non così è per il loro animo. Il tarlo del consumismo rode molti di quei cervelli: questi "grilli", sottolinea l'autore, ormai rappresentano "una realtà sociale", queste persone sono "shallah", son "quelli che vivono nel disincantato mondo delle grandi città, sono quelli che nascono morti nello spirito e vivono vegetando, perché parassiti", come il Trotta fa dire a Kritopolus, un vecchio greco che Vitaliano incontra durante un suo viaggio. Il giovane scopre in sé, come quel saggio, lo spirito del "maestro", di "colui che enuncia del suo" e che non è "colui che insegna ciò che sa, ma colui che insegna ciò che ha".
L'incontro con la politica attiva, una volta terminato il servizio militare e grazie a Carlo Antonio, adesso assessore sulla via di maggiori successi, è deludente. Dopo essere divenuto uno degli elementi di spicco del partito dell'amico, dopo anni di inutili lotte per la giustizia Vitaliano abbandona, per dedicarsi interamente alla natura, come Kritopolus, e alla ricerca filosofica. La salvezza non viene dall'esterno e men che mai dalla politica, ove ognuno, salvo rarissime, tradite eccezioni, s'affanna per il proprio personale interesse, ma dal proprio intimo, una volta in comunione con l'Essere.
Quanto Antonio Trotta teorizzò nel saggio "Uso ed abuso di costumi", di cui scrissi a suo tempo, troviamo esemplificato in questo romanzo, uscito in prima edizione nel 1996 per i tipi de "Il Grappolo", riveduto ed ora ristampato a cura dell'autore.

Guido Pagliarino