Opere

 

  © Guido Pagliarino

PREFAZIONE DI SERGIO NOTARIO A "CENTRO STORICO", POEMA DI GUIDO PAGLIARINO

 

Sono stato invitato a scrivere la prefazione di questo "racconto" "torinese" "in 1000 versi" "contro il razzismo" di Guido Pagliarino. L'ho coscienziosamente letto, dal primo all'ultimo verso e mi sento in dovere di dichiarare che spesso mi sono trovato in contrasto con i discorsi ideologici e filosofici che emergono in modo estremamente chiaro e che sono spesso agli antipodi della mia impostazione.

Ciò premesso, con altrettanta coerenza, ritengo di poter invitare il lettore ad una attenta riflessione sulle modalità particolarmente interessanti con le cuali l'opera si presenta. Ed è importante partire da quei termini virgolettati all'inizio.

È un "racconto" e del racconto ritroviamo i personaggi e l'intrecciarsi delle vicende e la capacità di incastrare personaggi e situazioni gli uni con le altre, dal momento iniziale dell'incontro con Vincenzo, l'antiterrone per eccellenza, al momento finale dove Vincenzo, con il classico "colpo di scena" di tipo teatrale si trasforma (qui, attraverso un miracolo, secondo la sensibilità religiosa, tutta da rispettare, dell'Autore) in un personaggio positivo "e piange con quella ragazza che piange con lui / Mai prima trovò tale pace...". E la galleria dei personaggi è vasta e varia e alcuni di essi rimarranno indimenticabili, soprattutto quelli schizzati in pochi versi (Abdùl Satelèch, Il vecchio ambulante, Ajanìra Babùtu).

Racconto e "torinese". E mi importa richiamare questo, non tanto per la Torino che comunque emerge, ma per il linguaggio che da questa torinesità nasce. Detto che si tratta perlopiù di un linguaggio quotidiano, di un linguaggio parlato, la caratteristica principale risulta essere la capacità di una diretta traslazione dal piemontese in italiano, o meglio la reinvenzione di un italiano che ha cadenze, lessico, anche la struttura grammaticale della lingua piemontese ("Fortuna che almeno ..." "... e già tutto sia bell'e compiuto" "comunque che vada tra poco ...), tanto da farmi ricordare un'analoga reinvenzione lombarda ne "La ragazza Carla" di Pagliarani.

Racconto torinese "in 1000 versi". Sono versi di quindici sillabe, alcuni perfetti nella loro capacità di trasmettere in un unico verso la compiutezza dell'immagine ("Non sa che tra un mese lo pescano morto nel fiume"). E le quindici sillabe sono indubbiamente il frutto riuscito di una ricerca per rendere, nel miglior modo possibile, la narratività dei versi. Sono una ballata, una canzone, un respiro ampio, talvolta (soprattutto cuando non si lascia travolgere dal sentenzioso, dal moralistico o moraleggiante, dove avvengono cadute di tono) avvolgente e struggente.

Racconto torinese in 1000 versi "contro il razzismo". Ed è una delle due tematiche di fondo che fanno da collante: la volontà antirazzista e la religiosità profonda; una religiosità che si professa chiaramente cattolica, o forse più ecumenicamente cristiana. Un cattolicesimo o cristianesimo che l'Autore vive con ferma convinzione, ma che ha la capacità di proporre, attraverso i protagonisti, non esente da ripensamenti e tormenti (Per molti cristiani la scelta di credere è sforzo / e il dùbbio ritorna ..."), forse ricordando il proprio passato di agnostico.

Ed i due momenti, l'antirazzismo e la religiosità, si compenetrano, fino a fondersi in una unica spinta, di una vita piena e realizzata attraverso e in essi, senza mezzi termini, dove il Bene sta da una parte e il male dall'altra ed i pencolamenti sono la debolezza dell'uomo, ma anche la forza della poesia.

 

Sergio NOTARIO