Opere

 

Copertina dell'edizione 2008, Boopen, del poema, riveduto e variato nello stesso anno

 

FINALISTA al Concorso "Mario Soldati" 2010 del Centro di Studi e Ricerche "Mario Pannunzio" di Torino

PREMIO SPECIALE alla XIX Edizione Premio Letterario "Città di Pinerolo" 2008

TARGA FINALISTA al IV Premio di Poesia Renata Canepa 2009

SEGNALAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA GIURIA al Premio di Arti letterarie 2009

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Leggi la presentazione breve di questo poema

Leggi la prefazione dell'autore a questa terza edizione del poema

Leggi la breve presentazione dell'autore alla prima edizione del poema, 1993

Leggi la prefazione di Sergio Notario alla prima edizione

PREFAZIONE DELL'AUTORE ALLA TERZA EDIZIONE, BOOPEN EDITORE

"Centro storico" è un poema epico, o racconto in versi come oggi più comunemente si dice, un racconto corale che si snoda in "canti" intitolati a personaggi le cui vicende sono, direttamente o indirettamente, collegate. L'avevo scritto nel 1990; nel ‘92 era stato fra i 19 finalisti, non premiati, su circa 850 opere partecipanti, a un concorso letterario per l'inedito indetto presso l’allora Salone del Libro di Torino dal Baraghini, l’editore dei famosi 1000 lire (per la cronaca: era risultato vincitore e pubblicato nella collana un romanzo sulla figura d’un conte di Cavour omosessuale). Ampi stralci di "Centro storico" erano stati inseriti, in seguito al concorso, in una rivista e l'anno seguente il Centro Studi Cultura e Società – Istituto di ricerca e documentazione – aveva stampato il poema, lasciandomene la proprietà letteraria. Nel 2001 l’avevo ripreso apportando varianti, nel 2006, tornato sull’opera, avevo eliminato circa un decimo dei versi e, infine, alcuni dei rimanenti ho modificato all'inizio del 2008.

Passati ormai diciotto anni, altri personaggi verrebbero alla penna, come quelli dell’immigrazione dall’Europa dell’Est dopo la caduta del Comunismo, ma l’opera diverrebbe ibrida e anacronistica, il panorama non sarebbe più quello del centro storico di Torino nell’anno 1990 con quelle figure "nel piccolo mondo che vive a Torino tra il Duomo / la via Garibaldi ed i corsi Regina e Valdocco", come recitava l’incipit, che ho abolito nella nuova stesura; figure come quelle dei marocchini, così come generalmente erano indicati tutti gli immigrati arabi, che nel 1990 vendevano per via spugnette e accendini, figure ormai pressoché scomparse e, com’è noto, sostituite, a un estremo, da persone inserite in una seria attività e, magari, raggiunte legalmente dai famigliari, all'altro, da non pochi clandestini caduti nella delinquenza, dei quali era stato fra gli antesignani il mio personaggio Omàr Salazìm. Diciotto anni fa non c’era ancora, e dunque non appare nel poema, il terrorismo degli estremisti islamici, presenti ormai purtroppo, com'è ben noto, anche nel nostro Paese, i quali si celerebbero, a Torino, nella zona del centro detta Porta Palazzo. Temo che, causa il terrorismo islamico corrente, qualcuno potrà non vedere con simpatia il mio personaggio del "buon marocchino" musulmano Abdùl Satelèch: i collettivismi, come recita Ariano lo storico, altra figura del poema, son bestie feroci, eppure la tendenza a ragionare per insiemi è malauguratamente spontanea e, sia nella storia, sia nel quotidiano, è fomite d'ingiustizia.

Porta Palazzo, lo dico per i non torinesi, è oggi interamente zona d’immigrati, non solo dall’Africa, ma pure dall’Europa orientale e dalla Cina; anzi, i cinesi hanno costituito addirittura in zona, in breve tempo, una loro Cina Town, mentr’erano figure pressoché assenti nell'anno 1990 in cui stendevo il poema.

In tutto il centro storico poi, è di molto diminuito il numero dei negozianti, quali i lattai e formaggiai Antonio e Lisa che il lettore troverà nel racconto; si tratta di esercizi sostituiti ormai quasi tutti, non solo in centro ma nell'intera area cittadina, da iper magazzini, ciò che, nondimeno, già annunciavo nel poema: senza bisogno d’essere un nostradamus, in quanto era un futuro non solo prevedibile ma chiaramente sul farsi, con grossi capitali scatenati a eliminare i piccoli negozi di quartiere, tanto influendo politicamente quanto diffamando la categoria coi loro mezzi d'informazione, accaparrandosi nel contempo permessi d'esercizio su vaste aree. È sopravvissuto però interamente l'ambulantato, soprattutto di alimentari e abbigliamento, primo fra tutti quello del mercato di Piazza della Repubblica e paraggi (il più grande d’Europa, comunemente detto "di Porta Palazzo") e penso ch'esso non finirà perché il gusto del mercato ambulante è in tanti consumatori ben vivo e, soprattutto, perché i prezzi di Porta Palazzo restano concorrenziali, a scorno dei mega capitali.

Insomma, il poema m'appare ormai come un insieme di flash – quasi – storici su di un centro storico torinese oggi in notevole misura diverso e, secondo me, peggiore; dunque il titolo originale "Centro storico" è divenuto, richiamando l'anno di stesura, "Centro storico (Porta Palazzo e dintorni) 1990".

Un’altra cosa: s’era supposta a suo tempo un’influenza sul poema dell’"Antologia di Spoon River" e, inoltre, del Pavese di "Lavorare stanca": nel primo caso mi trovo d’accordo, sebbene la mia lettura dell’opera del Lee Masters precedesse di quasi tre decenni la redazione di "Centro storico" e durante la stesura non l'avessi in evidenza; tuttavia, a cose fatte, ritengo che il mio inconscio l'avesse presente; quanto al Pavese, con quei suoi versi che a me, amante del ritmo, pur senza contestarne affatto il valore, anzi, mi suonano un po’ prosastici, penso ch’egli non c’entri, se non per la piemontesità, tanto come carattere di fondo, quanto per la comune, intenzionale traslazione in italiano, qua e là, di forme della lingua piemontese, ciò che però non è invenzione né sua né mia, ma prassi dell’ormai quasi scomparso popolo subalpino autoctono; peraltro, pare proprio che il "Lavorare stanca" pavesiano dovesse a sua volta a Edgar Lee Masters.

Inserisco di seguito la prefazione di Sergio Notario alla prima edizione, prefazione che originava da una posizione metafisica e ideologica diversa dalla mia; tuttavia, la capacità e l'umanità del prefatore avevano saputo cogliere sufficientemente bene il mio sentire, nonostante alcuni punti in cui si notava la lontananza di Sergio dal Cristianesimo; ad esempio, laddove affermava che il credente sente tutto il bene da una parte e tutto il male dall'altra, egli non mostrava d'aver chiara la distinzione fra dolore e male e il fatto che il cristiano non è affatto manicheo ma, al contrario, sente il peccato agitarsi in lui, e si veda cosa ne dice Paolo nella lettera ai Romani, 7, 18 e seguente: "Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio": per i cristiani è vero male solo il peccato, causa di dolore in ogni caso, mentre la sofferenza non sempre deriva dalla cattiva volontà di esseri umani, basti pensare a una malattia; ed è proprio qui che il Cristianesimo si distingue dalle altre religioni, col suo Dio ch’è uomo nel suo proprio Essere eterno e s’assoggetta dunque a soffrire nella storia come gli altri liberi uomini suoi figli e fratelli, tentazioni comprese, anche se vittorioso sempre. A un certo punto della prefazione il Notario parlava del miracolo d’una conversione, ma il

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lettore non cerchi quei versi, infatti li ho eliminati perché da tempo li avevo avvertiti dolciastri: essi costituivano il vecchio finale, nel quale il personaggio di Vincenzo il razzista diveniva credente e buono; adesso il poema si chiude sulla stessa situazione dell’inizio, quella d’un Vincenzo maligno, come normalmente succede nonostante le preghiere altrui, perché Dio rispetta la libertà di coscienza donata a ciascun essere umano. Sono riconoscente a Sergio Notario, poeta oltre che critico, musicista e tant’altro ancora, che, non limitandosi a scrivere la prefazione, aveva continuato a seguire l'opera per diverso tempo dopo la sua stampa, con presentazioni e letture pubbliche.

Guido Pagliarino

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PRESENTAZIONE DELL'AUTORE ALLA PRIMA EDIZIONE, CENTRO STUDI CULTURA E SOCIETÀ, 1993

Copertina della prima edizione

[per il momento la prima edizione è ancora disponibile in e-Book gratuito: clicca]

"Centro storico" è un poema epico corale. Si snoda in "canti" intitolati a personaggi, le cui vicende sono, direttamente o indirettamente, collegate fra loro.

Scrissi questo racconto in versi nel 1990. Ancora inedito, fu tra i 19 finalisti (su circa 850 opere partecipanti) a un importante premio letterario per l'inedito presso il Salone del Libro di Torino del '92 e, in conseguenza, alcuni stralci furono pubblicati su di una rivista. L'anno seguente, il Centro Studi Cultura e Società - Istituto di ricerca e documentazione - lo stampò. Rinunciai ai diritti d'autore e a qualsiasi altro compenso, mantenendo la proprietà letteraria dell'opera.

Nonostante avessi corretto le bozze, sulla copia cartacea (cose che succedono o meglio che succedevano - la stampa elettronica non c'era ancora -  senza che, per questo, si dovessero  linciare i tipografi) rimasero ben otto refusi che, nella pubblicazione a mia cura qui sul sito, ovviamente non figurano.(**)

Non sto a introdurre l'opera, si possono vedere, procedendo,  recensioni di critici e la prefazione di Sergio Notario. Quest'ultima viene da una posizione filosofica ed ideologica diversa dalla mia, ma la capacità e l'umanità del prefatore hanno saputo cogliere piuttosto bene il mio sentire, nonostante alcuni punti in cui si nota l'estraneità del Notario al cristianesimo, là dove parla di miracolo mentre si tratta d'una gratuita concessione di Grazia, ciò che vale per tutti i credenti, o dove, dicendo che il cristiano sente tutto il bene da una parte e tutto il male dall'altra, non mostra d'avere chiara la distinzione tra dolore e male (il peccato), il secondo sempre causa di dolore, il primo non sempre derivante dagli esseri umani. Sono riconoscente a questo critico e poeta, che seguì  l'opera per molto tempo dopo la sua pubblicazione, con presentazioni e letture pubbliche, tutte per mera cordialità.

________

(**)   Quei refusi non danneggiano il senso, ma il metro sì! Ecco dunque qui sotto l'

ERRATA CORRIGE, PER LE SOLE COPIE CARTACEE DELLA PRIMA EDIZIONE

Alla pagina/  /al verso       Il verso originale è, rispettivamente, quello che  leggi sotto

  8                      7                e invece son loro che ciànno le donne più lasche

12                    10                si inducono a aprirgli la via, lo guàrdano male

17                    22                perché l'infinito non ha partizioni né gradi;

21                    10                "poi torno e facciamo la vita tranquilla dei ricchi"

28                    15                e il mese seguente, a denuncia d'un servo degli unni

35                    14                parecchi di 'sti poveretti incontrati nel Centro               

38                    16                in séguito a un brutto episodio di sangue e idiozia:

45                       7                In ogni  quartiere, e in famiglia, c'è gente che soffre,


II edizione, E-BOOK, 2001